Paperino Surfista

domenica 1 maggio 2011

l'atelier della techista



l'atelier della techista



" Le teche sono alla periferia del mondo, reticenti e ciarliere, e rendono forma a certi aspetti del pensiero. Sono un pensiero-forma. Scenari surreali popolati da icone conosciute: un gioco di costruzioni che sigilla un'idea, un pensiero, una narrazione tramite oggetti ricorrenti che riconducono e si ricollegano in un rimescolio simbolico."
( C. G. )




Il portafoto dell'Ikea e Joseph Cornell.

L'Ikea e Paperino Surfista! Queste boxes sono acquistate all'Ikea, sono portafotografie con 3 cm di profondità data dal distanziatore. Ipotizzo che chi le ha create pensasse di offrire l'opportunità di inserire davanti alla foto un ricordino del luogo di vacanza o della persona ritratta; mi piacerebbe saperlo un giorno.  Queste cornicette mi hanno incuriosito, ho avuto il desiderio di occupare quello spazio: la foto dei due fidanzati con la rossa essicata del loro primo appuntamento davanti? Oppure si poteva introdurre qualcosa di più simbolico? Potevano diventare degli altari? Poi Joseph Cornell, maestro dei sogni, è tornato a parlarmi.
Mi permetto una breve digressione su Joseph Cornell.
Guardate l'immagine qui di seguito.

Joseph Cornell "Untitled ( Bébé Marie )", 1940's, MOMA, N.Y.


Vidi per la prima volta quest'opera quando avevo 18 anni alla Biennale di Venezia. Ricordo come in un flash back di essere entrata in una sala e averla trovata entrando sulla mia destra: ne sono rimasta incantata, affascinata e impaurita. Questa creazione è molto inquietante, guardandola dal vivo se ne possono percepire la polvere, l'odore di cantina con la sua sfumatura di muffa, sui polpastrelli il ruvido delle vesti sgualcite della bambola e dei ramoscelli che sono come le sue sbarre; al contempo sembra avanzare in una radura tra gli arbusti ma al contempo le pareti della scatola non le lasciano spazio intorno e forse venisse rovesciata parrebbe essere adagiata in una rozza bara di assi di legno. Forse è una bambola dimenticata dalla bambina che ora è una donna adulta, forse si sente sola o forse è indifferente al suo destino: ma è restata lì dentro, immobile prigioniera ingiallita  il cui sguardo è difficile a reggersi proprio per la sua inespressività.
Ed ecco allora il marchio a fuoco freddo nel cervello, nello spirito: una leggera punturina di cui certo non mi accorsi a quell'epoca in cui tutto mi si apriva davanti e avrei visto e visitato tanti altri luoghi dell'arte, spesso in luoghi non deputati a tali. Per descrivere quello stato d'animo mi vengono in mente le parole dell'angelo Damiel all'inizio de "Il cielo sopra berlino" di Wim Wenders:





  • Quando il bambino era bambino, | se ne andava a braccia appese, | voleva che il ruscello fosse un fiume, | il fiume un torrente, | e questa pozza, il mare. || Quando il bambino era bambino, | non sapeva di essere un bambino, | per lui tutto aveva un'anima | e tutte le anime erano un tutt'uno. || Quando il bambino era bambino, | su niente aveva un'opinione, | non aveva abitudini, | sedeva spesso a gambe incrociate, | e di colpo sgusciava via, | aveva una vortice tra i capelli | e non faceva facce da fotografo.
  • "Song of chilhood" di Peter Handke

    Fatto sta che me ne dimenticai per anni. Perchè così succede a volte. Perchè dovrei mentire ai miei dieci lettori fissi che sovente non mi leggono? Per ora non sono nemmeno arrivata agli storici 25 lettori manzoniani! Per la verità me ne dimenticai per anni a tal punto che quando andai nel 1991 a New York non mi accorsi della presenza di Cornell al MOMA: eppure, in quei mesi di solitudine relativa, al MOMA ci passavo le ore. Quindi sono certa di aver rivisto alcune opere di Cornell ma il mio conscio non mi permette di ricordare.
    Io sono inoltre caratterizzata in generale da una perenne amnesia, sono a-mnemonica: non mi chiedete date, non mi chiedete nomi d'artsiti, non mi chiedete titoli di opere d'arte nè dove le ho viste, non mi chiedete titoli poichè talvolta ricordarmeli è del tutto casuale. Forse per questo faccio teche rammemoranti, i miei promemoria.
    Passano gli anni e arriva un giorno in cui mi reco all'Ikea e me ne torno a casa con una spesa extra: una scatolina in legno ( ora fuori produzione) che resta lì per anni e verrà riempita per caso un pomeriggio primaverile. Quella stessa primavera acquisto in un Mercante In Fiera cittadino una teca utilizzata in un istituto tecnico per mostrare la lavorazione del cotone dal batuffolo sulla pianta al filato. Passa un altro anno ed eccomi di nuovo nel grande magazzino svedese: cerco di nuovo quelle scatole e non le trovo più, così decido di acquistare altre cornici che però hanno una profondità di soli 3 cm. Torno a casa e le ripongo su un ripiano della libreria: e lì hanno preso polvere fino a maggio del 2010. Finchè "Aspettando" ( teca inedita, ancora in preparazione) e "Lisa 18" non hanno preso forma.
    Riprendiamo le fila del discorso. Presumibilmente fui fecondata da Joseph Cornell alla Biennale di Venezia più di vent'anni fa e quando quel seme ha cominciato ad affiorare sul terreno ho istintivamente acquisito le mie prime boxes.
    Dopo quasi un anno mi sono molto affezionata a quello spazio, ormai lo conosco bene perchè lo guardo ogni giorno e immediatamente, come un riflesso condizionato, ci viaggio dentro: avrò già almeno fatto cento teche nella mia testa immaginando/vedendo cosa c'è dentro. I portafoto Ikea fanno parte integrante del mio utilizzo di oggetti di uso comune, reperibili ovunque da chiunque. Cimentarsi con spazi differenti implica un'altra scelta estetica, un altro approccio che per ora nella mia mente è solo un abbozzo. Le teche Ikea sono oggetti seriali, omologati ed omogeniei, riproducibili in un numero indefinito di esemplari, non diversamente da come si riproduce indefinitamente la loro matrice biologica, chi li produce: l'uomo. Protesi esterna, come se aprissimo la teca cranica, come se essa si schiudesse e potesse esibire le sue rappresentazioni, come su una scena. Le teche sono questo. Una teca cranica, una sezione trasversale di teca cranica.


    
    Concrezione di Campari, titolo provvisorio, teca cilindrica
    
    Ispirazione ed imitazione

    Una sera in una trattoria del centro città ho visto appesi alle pareti dei vecchi cassetti di diversa misura, riverniciati in modo volutamente maldestro con colori cupi, quasi sporchi: all'interno vi erano composizioni di oggetti vecchi, materiale elettrico fuori uso, transistors, oggetti arrugginiti, plastica vecchia, pagine ingiallite. Un memento mori, un fermo immagine della decadenza. Così diverse da me, che prediligo colori nitidi, che amo la luce, che uso oggetti apparentemente innocenti con ironia e a volte cattiveria, che trasfiguro innocui pupazzetti giocattolo, che amo le trasparenze.
    Vi sono molti artisti che sono stati ispirati da Joseph Cornell e molti che usano boxes, contenitori ( ho visto anche dei televisori "svuotati" usati come palcoscenico), ho già incontrato altre teche ikea in giro per l'Europa. Ovviamente il punto di partenza non è il supporto, sia che possa essere un portafoto ikea, una scatola bi bottiglie di vino, una tela, i colori ad olio, la creta, il marmo, un rullino fotografico. Cosa potremmo mai scoprire dopo Marcel Duchamp e Lucio Fontana ?
    Proprio Duchamp credeva fermamente che l'arte è quello che noi immaginiamo sia arte.
    Ma questa non deve essere la scusante per unlivellamento verso il basso, verso il low profile.
    Anni orsono assistetti ad un litigio tra due studenti dell'Accademia di Belle Arti che avevano, tra gli altri, partecipato ad una rassegna di giovani artisti che implicava la vittoria di un premio simbolico. La giuria, composta di professori e giornalisti del settore, più il classico politico regionale, assegnò il premio ad uno di loro: un suo compagno la prese molto male e iniziarono a litigare a voce alta. Il primo sosteneva di aver acquisito una tecnica pittorica di gran lunga migliore del vincitore e che non si poteva dar pace per la svista che aveva preso la giuria: ad un certo punto il vincitore, spazientito, gli disse "Chi sa dipingere sei tu, ma l'artista sono io." Ricordo i loro nomi e comunque, se vi interessano gli epiloghi, nessuno dei due fece carriera e se inserisco i loro nomi su Googlesearch non viene fuori quasi nulla.
    L'arte si basa sull'idea, non solo sulla tecnica.



    La Fiera delle vanità, titolo provvisorio, bacheca porta oggetti, in lavorazione
    In un precedente post ( "A volte mi estraneo dalla realtà") ho scritto che chiunque potrebbe/dovrebbe fare le proprie teche e, in un certo senso, penso che qualsiasi persona potrebbe farle, comporle, introducendovi qualunque cosa: oggetti, scritte, materiali diversi, biglietti, ricordini. Prendendendo spunto da un fatto accaduto lo si può o voler ricordare oppure esorcizzare; si può usare lo spazio-teca per rappresentare un sogno, un desiderio, una malinconia, un rimpianto. Vi si può esprimere un pensiero, un ideale, una critica, fare un personale commento, individuare dei protagonisti simbolici e spostarli, ridimensionarli, impoverirli o arricchirli.
    L'individuazione degli oggetti o dei personaggi e la loro collocazione all'interno dello spazio-teca ha molta importanza, come nel palcoscenico teatrale ( vedi "Lo spazio scenico. Storia dell'arte teatrale" di Nicoll Allardyce, pubblicato nel 1971 che studiai quando preparai l'esame di storia del teatro col grande e compianto Gian RenzoMorteo). Non è detto che un'immagine piccola messa sullo sfondo non sia la chiave di lettura dell'intera teca ( vedi l'immagine di Sigmund Freud in alto a sinistra in "Questi fantasmi").
    Non limitatevi a ritagliare un foglio di carta pacco per regali, incollarla sullo sfondo e piazzare con la colla in primo piano un babacetto delle merendine Kinder, perchè il gioco non è questo.

    La casa nella prateria, titolo provvisorio, casetta segnatempo, in preparazione
    Ho guardato per anni, ho osservato per anni: quadri, fotografie, sculture, presepi, vetrine, installazioni, oggetti d'arredamento, copertine di dischi, manifesti di ogni tipo, stoffe, lungometraggi e cortometraggi, sbirciato attraverso finestre e appartamenti illuminati.
    Si può fare tutto ciò che si vuole? Tutto ciò che ci salta in mente? Vale tutto? Assolutamente no e inoltre vanno rispettate alcune regole: proporzioni, armonia dei colori e delle forme, coerenza nel contenuto. Le teche non sono oggetti messi alla rinfusa su uno sfondo scelto a caso sfogliando una rivista o un catalogo di carta da parati. Altrimenti sarebbe sufficiente mezzora per crearne una. Il mio piccolo appartamento, dalla cucina al salotttino, è ormai invaso di buchi aperti, di scatole rivolte verso il mio sguardo, di crateri vuoti o semi vuoti, di contenitori di varia natura i cui palcoscenici attendono i loro attori, la loro scenografia, la loro storia da narrare. Ci sono teche che appaiono lucidamente ai miei occhi e si compongono in un giorno, altre stazionano alla parte da mesi e gli oggetti vanno e vengono: li appoggio su uno sfondo, poi ne aggiungo un altro, poi tolgo il primo e lo appoggio dentro un'altra teca in costruzione, poi ritorno sulla prima idea ma tolgo il secondo oggetto che vi avevo messo e lo sostituisco con un altro ancora. Poi non mi convince lo sfondo e allora smonto tutto e guardo quel foglio di carta appoggiato sul tavolo della cucina e lo fisso come ebete. Mi alzo e vado a prendere il mio album di ritagli e sparpaglio foto e scritte sul tavolo: a volte passo due ore a togliere e mettere, girare, spostare, inserire, eliminare e ancora non vien fuori quello che voglio. Allora ci dormo su, oppure faccio passare giorni o intere settimane prima che l'idea affiori al mio conscio e passi dalla mia testa nelle mie mani. 
    Picasso disse: "Je ne cherche pas, je trouve:"

    I viaggi di Gulliver, titolo provvisorio, portaposate in legno, in preparazione

    Nessun commento:

    Posta un commento